La prima volta che ho letto Il ritorno di Joseph Conrad (edito da Il Sole 24 Ore, 2012, traduzione di Flaminio Di Biagi) mi è successa una cosa strana: arrivata all’ultima pagina, dopo aver chiuso il libro, l’ho subito riaperto per rileggerlo di nuovo, dall’inizio.
Mi è capitato spesso di rileggere un racconto o un romanzo molto amato, ma a distanza di qualche tempo, non così, immediatamente. Questo per dirvi quanto Il ritorno deve avermi stregata. Già dopo la prima lettura ho avuto la sensazione di essermi imbattuta in qualcosa di perfetto e misterioso, qualcosa che andava indagato, perché aveva in sé la forza di una rivelazione.
In questi giorni l’ho riletto ancora, per scrivere questo pezzo, e quell’impressione di assoluta grandezza è rimasta intatta.
Cos’ha di così straordinario?
Be’, non certo la trama: Alvan Hervey è un agiato e rispettabile borghese, sposato da cinque anni. Un giorno, tornando a casa, trova una lettera in cui la moglie gli annuncia di essersene andata con un altro. Poi però, quando Alvan, in preda al panico, sta pensando allo scandalo a cui questo gesto sconsiderato lo esporrà e a come poterlo evitare, la moglie torna e… Lascio a voi il piacere di scoprire il finale.
Straordinario è il racconto delle reazioni interiori che questo evento scatena nel protagonista, il resoconto di un terremoto che scuote alle fondamenta le convinzioni e le convenzioni su cui tutta la sua vita si è retta fino a quel momento.
Con uno stile da lasciare senza fiato, Conrad riesce a dire l’indicibile: le contraddizioni dell’animo umano, la complessità dei sentimenti, i millimetrici spostamenti interiori che, apparentemente invisibili, fanno crollare ponti che credevamo eterni, la fatale discrepanza tra ciò che sentiamo e ciò che diciamo, tra ciò che davvero pensiamo e ciò che gli altri (la società, le regole, l’abitudine) ci hanno insegnato a pensare.
È un racconto sulla paura della verità “che può essere tenuta lontana dalla vita quotidiana solo con una incessante attenzione alle apparenze”, sull’impossibilità di conoscere fino in fondo il segreto dei cuori, “in un mondo che ha orrore degli enigmi, e presta attenzione solo a quei doni che si possono guadagnare in città, fra le strade, i negozi”.
Scritto nel 1897, Il ritorno è di un’attualità spiazzante.
Prendete l’arrivo del protagonista.
Alvan è appena sceso dal treno che lo ha riportato a casa dopo il lavoro, molto prima del solito (e questo sarà un dettaglio fondamentale nella storia):
Alvan Hervey attraversò il cancello dei biglietti. Tra le squallide pareti di una scala sudicia degli uomini salivano velocemente; le loro schiene sembravano tutte uguali – quasi indossassero un’uniforme; le facce indifferenti erano diverse ma in qualche modo suggerivano un’aria di famiglia, come i volti di un gruppo di fratelli che per prudenza, dignità, disgusto, o preveggenza si ignorino risolutamente l’un l’altro […]
Fuori dell’uscita sulla strada, si sparpagliarono in tutte le direzioni, allontanandosi velocemente uno dall’altro con l’aria frettolosa di uomini che scappino da qualcosa di compromettente; dalla familiarità o dalle confidenze; da qualcosa di sospetto e tenuto segreto – come la verità o la peste.
Se almeno una volta nella vita avete fatto i pendolari, questa scena non potrà non ricordarvene altre simili, che avete visto mille volte, ma che le parole di Conrad sanno dire in maniera precisa e memorabile, rivelandone il senso profondo nascosto sotto la superficie.
Non è un caso che il racconto inizi proprio con un ritorno: un ritorno uguale a tanti altri, di routine, che preannuncia con la sua apparente normalità quello ben più perturbante con cui Alvan e noi lettori dovremo fare i conti.
Preparatevi a un viaggio di settanta pagine, al termine del quale qualcosa dentro di voi sarà cambiato per sempre.
Curiosità:
Conrad scrisse che aveva la sensazione che Il ritorno fosse «opera della mano sinistra», che gli era costato «fatica, rabbia e delusione» e che detestava questo racconto («I hate it»).
Ah, chi li capisce questi geniacci…
Cosa non dimenticherete mai:
Le incredibili similitudini e i pazzeschi paragoni di Conrad, di una bellezza disarmante.
Un esempio:
Si girò con la serena disperazione di chi abbia deliberatamente gettato via l’ultima occasione della vita; e, per un attimo, la stanza che le stava davanti apparve terribile, e buia, e sicura – come una tomba.
Chapeau.
Il passaggio cult:
In un lampo si rese conto che la moralità non è un metodo per la felicità. La rivelazione fu terribile. Capì d’un tratto che nulla di quanto sapeva aveva la benché minima importanza. Le azioni degli uomini e delle donne, il successo, l’umiliazione, la dignità, il fallimento – niente aveva importanza. Non era una questione di maggiore o minor dolore, di questa gioia o di quel dolore. Era una questione di verità o di falsità – era una questione di vita o di morte.
Eccolo nella notte rivelatrice – nell’oscurità che mette alla prova i cuori, nella notte inutile per il lavoro degli uomini, ma nella quale il loro sguardo, non abbagliato dalla luce dei giorni avidi, talvolta arriva lontano, fino alle stelle.