Che cosa significa scrivere?
Domanda da un milione di dollari, non c’è dubbio.
Difficile trovare un’unica risposta, ma questa, di Henrik Ibsen, mi sembra bellissima: “Scrivere è vedere”.
Come molte cose belle e vere, ha il dono dell’immediatezza e della semplicità.
Ci ho riflettuto e, in effetti, la scrittura mi sembra legata, per molti versi, alla visione.
Nell’intervista riportata in Ad occhi aperti. Conversazioni tra Matthieu Galey e Marguerite Yourcenar (Bompiani), alla domanda se scrivere per lei sia uno sforzo o una sofferenza, la celebre scrittrice risponde così:
No, è un lavoro, ma è anche quasi un gioco, e una gioia, perché l’essenziale non è la scrittura, è la visione. Ho sempre scritto i miei libri col pensiero, prima di trascriverli sulla carta, e a volte li ho perfino dimenticati per dieci anni prima di dar loro una forma scritta.
Scrivere è vedere con gli occhi della mente: mentre scriviamo, i luoghi, i personaggi e i fatti evocati dalla nostra immaginazione prendono vita, al punto da sembrarci tanto veri e concreti quanto la stanza dove siamo seduti, a volte persino di più.
Parlando dei suoi processi creativi, anche Andrea Camilleri dice una cosa molto interessante: che solo quando ha stabilito come parla un personaggio riesce a vedere com’è vestito, dove vive, in quale ambiente si muove. Solo dopo averlo sentito parlare, riesce a vederlo aggirarsi per il suo studio: solo allora può iniziare a scriverne.
La visione così intesa è legata a doppio filo, ovviamente, anche all’atto di leggere: durante la lettura – e questa è la sua magia – veniamo trasportati in un’altra dimensione, in un altro tempo e luogo; le parole sulla carta si trasformano in immagini e noi le vediamo prendere vita davanti ai nostri occhi.
Ma c’è poi un secondo livello, più profondo: lo scrittore vede ciò che gli altri non vedono, riesce a mettere a fuoco dettagli normalmente invisibili, a scovare ciò che ai più solitamente sfugge.
Tolstoj afferma:
Il talento è il dono di vedere quello che gli altri non hanno visto.
Carver riprende il concetto, precisandolo:
Il talento, il genio, addirittura, è anche il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato.
[…] È qualcosa di simile allo stile, quello di cui sto parlando, ma non è solo questione di stile. È il tipo di firma inconfondibile e unica che lo scrittore lascia su qualsiasi cosa scriva. E ne fa il suo mondo e nient’altro. È una delle cose che contraddistinguono uno scrittore. E non è il talento. Di quello ce n’è un sacco in giro. Ma uno scrittore che ha una maniera particolare di guardare le cose e riesce a dare espressione artistica a quella sua maniera di guardare le cose, quello sì che è uno scrittore che durerà per un pezzo.
E ancora, in Lezioni di letteratura Nabokov scrive:
Ricordo una vignetta raffigurante uno spazzacamino che cadeva dal tetto di un alto edificio e notava, precipitando, che in un’insegna c’era un errore d’ortografia, e si chiedeva, nel suo volo a capofitto, perché nessuno avesse pensato a correggerlo […] Questa capacità di interrogarsi su inezie – indipendentemente dall’imminenza del pericolo – questi “a parte” dello spirito, queste note a piè di pagina nel volume della vita sono le forme supreme della consapevolezza, ed è in questo stato mentale infantilmente speculativo, tanto diverso dal senso comune e dalla sua logica, che sappiamo che il mondo è buono.
L’attenzione ai dettagli, a ciò a cui spesso non badiamo, a ciò che, nella vita di ogni giorno, finisce inevitabilmente confinato alla periferia del nostro sguardo, negli angoli bui, e che la scrittura invece sa restituire alla luce: questa sembra essere la peculiarità della parola letteraria.
La ritroviamo enunciata nell’incipit di Una risata nel buio:
C’era una volta a Berlino, in Germania, un uomo che si chiamava Albinus. Era ricco, rispettabile e felice; un giorno abbandonò sua moglie per una giovane amante; l’amava; non era amato; e la sua vita finì in catastrofe. Ecco tutta la storia e noi avremmo potuto lasciarla così, non ci fossero stati l’interesse e il piacere di raccontarla; e sebbene la superficie di una pietra tombale orlata di muschio sia sufficiente a contenere il riassunto della vita di un uomo, i dettagli sono sempre i benvenuti.
Forse scrivere è soprattutto questo: mettere la realtà che ci circonda, gli altri e noi stessi sotto una lente d’ingrandimento potentissima, avvicinare l’occhio e non avere paura di guardare.
[…] è vedere QUI il […]