I libri di Louisa May Alcott (1832-1888) sono stati sul comodino di molte bambine per generazioni. Quale ragazzina non ha mai ricevuto in regalo da una zia, un’insegnante o una vicina di casa una copia del suo Piccole donne?
E così, nell’immaginario collettivo, la Alcott è rimasta associata per sempre all’idea di una scrittrice per l’infanzia, autrice di opere educative, piene di buoni sentimenti e piuttosto moraliste.
Be’, mai etichetta fu meno azzeccata…
L.M. Alcott alias A.M. Barnard
La Alcott scrisse sotto pseudonimo storie gotiche intrise di fatali e oscure passioni, ricche di suspense e colpi di scena, pubblicate a episodi su alcuni giornali scandalistici dell’epoca.
Diversi i nomi fittizi usati dall’autrice: A.M. Barnard, Aunt Weedy, Flora Fairfield, Oranthy Bluggage e Minerva Moody.
Whisper in the dark, La chiave misteriosa e il segreto svelato, Passione e tormento, Il fantasma dell’abate o La tentazione di Maurice Treherne sono titoli emblematici di un’ispirazione molto diversa da quella che deve aver animato Piccole donne.
In questi romanzi (i cui personaggi sono spesso tossicodipendenti e giocatori incalliti) le signore, lungi dall’essere miti angeli del focolare, assumono oppio e fumano hashish con disinvoltura.
Tanto per darvi un’idea del tono di queste storie, uno dei loro incipit recita: “Venderei volentieri l’anima a Satana per un anno di libertà!”.
A Long Fatal Love Chase (Un lungo fatale inseguimento d’amore), che sarebbe dovuto uscire sotto lo pseudonimo di A.M. Barnard, fu rifiutato dagli editori perché ritenuto troppo audace.
“Spazzatura per bambini”
Fu il suo editore a chiederle di scrivere una storia per ragazze (e quindi a consegnare il suo nome all’immortalità letteraria). Ma la Alcott odiava i bambini.
Sul suo diario si legge:
[…] non mi sono mai piaciute le ragazzine e non ne ho conosciute molte, a parte le mie sorelle, ma forse i nostri strani giochi e le nostre esperienze potrebbero rivelarsi interessanti, sebbene ne dubiti.
Scrisse Piccole donne in soli tre mesi: il libro ebbe un successo immediato, ma questo non impedì all’autrice di considerare la sua narrativa per ragazzi “spazzatura per bambini”.
Una famiglia complicata
Louisa May era figlia del filosofo trascendentalista Bronson Alcott, un tipo particolare, uno che – tanto per capire il genere – costrinse la sua famiglia a vivere per circa sei mesi nella comunità di “Utopian Fruitlands”, dove erano vietati la carne e ogni prodotto animale (compresa la lana), e a nutrirsi perciò di pane azzimo, minestrone e acqua, con inevitabili conseguenze sulla salute dei congiunti.
A causa delle precarie condizioni economiche della famiglia, fin da giovane, per sbarcare il lunario, la Alcott fu obbligata a fare diversi lavori (insegnante occasionale, sarta, governante, bambinaia ecc.).
Gli introiti provenienti dalle sue opere furono, anche in seguito, la principale fonte di sostentamento della famiglia.
Louisa era la seconda di quattro sorelle: modellò su di sè il personaggio di Joe March, ma, a differenza della sua eroina, non si sposò mai.
Girl power
La Alcott fu tra i primi abolizionisti (si battè, cioè, contro la schiavitù), una femminista e una grande sostenitrice del diritto di voto alle donne.
Fu la prima donna a iscriversi alla lista dei votanti a Concord in un’elezione scolastica.
Opium-addicted
Durante la guerra civile americana l’autrice di Piccole donne andò a Washington per lavorare come infermiera. Qui si ammalò di polmonite (o forse di tifo): fu curata, secondo le pratiche mediche dell’epoca, con del calomelano, un composto di mercurio, che la avvelenò.
La Alcott dovette lottare contro le conseguenze della malattia per i successivi venticinque anni della sua vita, facendo costante uso di laudano, un oppiaceo da bere. Fu così che divenne dipendente dall’oppio, come oppiomani sono, non a caso, molti personaggi dei suoi libri, tra cui la protagonista del romanzo autobiografico Work: A Story of Experience.
Le ultime parole
Le sue parole sul letto di morte, avvenuta solo due giorni dopo quella del padre, furono: “Non è meningite?”
Per saperne di più, vi consiglio lo spassosissimo Vite segrete dei grandi scrittori, di Robert Schnakernberg (Electa, 2014).